Palestina
Una breve storia dell’occupazione
Secondo un’arbitraria decisione dell’ONU del 1948, la distribuzione di terra tra i palestinesi e gli ebrei che abitavano in Palestina fu palesemente impari. Gli ebrei erano solo 600.000, ossia il 37% della popolazione, ma hanno avuto il 55% della terra. Circa la metà dei palestinesi sarebbe dovuta rimanere sotto il controllo israeliano. Questa decisione dell’ONU spinse Siria, Giordania, Libano e Iraq ad unirsi alla lotta dei palestinesi contro il nuovo Stato d’Israele. Alla fine della Guerra del 1948, teatro dei più orribili massacri e atti di espulsione, 2,5 milioni di palestinesi si rifugiarono altrove. 737166 palestinesi furono cacciati dalle loro case e dai loro terreni. 531 villaggi palestinesi furono completamente distrutti.
Nella Guerra del 1967, Israele occupò le Alture di Golan, il Sinai, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Prima del 1967 soltanto 400.000 palestinesi erano residenti in Israele ma l’occupazione del 1967 ne aggiunse altri 1,1 milioni (tra cui molti rifugiati). Pochi giorni dopo la guerra, un piccolo gruppo radicale israeliano, Matzpen (“bussola”), rilasciò un comunicato nel quale disse: “un’occupazione produce un governo straniero, che produce resistenza, che produce oppressione, che produce terrore e contro-terrore. Tenere i territori occupati ci trasformerà in un popolo di assassini e vittime insieme”.
Ci sono 6 milioni di rifugiati palestinesi ora al mondo:
2.000.000 in Giordania
500.000 in Libano
500.000 in Siria
900.000 in Gaza
800.000 in Cisgiordania
1.300.000 in altri paesi.
L’Intifada (“insurrezione”) dei palestinesi iniziò nel 1987 e ha portato all’inizio del “processo di pace” del 1993. Il governo di Rabin firmò l’accordo di Oslo con l’OLP e la maggior parte degli israeliani capì che era ora di farla finita con l’occupazione e iniziare nuovi rapporti con i palestinesi e con il mondo arabo. Ma la realtà nei territori occupati era tutt’altra. Questi erano divisi in tre zone: alcune zone sotto il controllo palestinese, altre sotto il controllo israeliano e altre contese tra le due fazioni. La delusione verso il cosiddetto “processo di pace”, insieme alla provocazione del capo dell’opposizione parlamentare, Ariel Sharon, alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, uno dei luoghi sacri dei mussulmani, portarono alla Seconda Intifada. I kamikaze sono il più grande terrore della maggior parte degli israeliani, perché porta il dramma dei territori dall’altra parte della Linea Verde (il confine tra l’Israele e la Cisgiordania).
Per il governo israeliano, il recinto esiste come difesa contro i kamikaze e non come indicatore dei confini del paese. I coloni temevano che il recinto potesse seguire la Linea Verde, isolando loro, ed è per questo che la destra, e specialmente Ariel Sharon, oppone il recinto. In realtà, il percorso del recinto è ideato per togliere la più grande quantità possibile di terra dalla Cisgiordania, a prescindere dalle questioni di sicurezza. Il recinto, infatti, è un sistema complicato di recinti e servirà ad imprigionare centinaia di migliaia di palestinesi in zone recintate con il filo spinato. Dal 1994, la Striscia di Gaza è circondata da una barriera che isola gli abitanti dal resto del mondo (e specialmente dalla Cisgiordania). Gaza non gode di alcuna autonomia economica dal momento che Israele controlla ogni persona e ogni cosa che entra o esce dalla zona.
Gli ultimi avvenimenti
Alla fine del 2012, gli Stati Uniti hanno dedicato ampi sforzi per bloccare una risoluzione dell’Assemblea generale ONU per promuovere lo status della Palestina a quello di “stato osservatore non membro.” Il tentativo è fallito nell’anniversario del voto dell’Assemblea generale del 1947 sulla spartizione. La risoluzione non migliora di certo la situazione palestinese, infatti, a tutti i profughi palestinesi non verrà mai riconosciuta alcuna cittadinanza, sono uomini e donne senza terra.
I motivi che Washington ha offerto per la sua opposizione alla risoluzione sono rivelatori: la Palestina potrebbe rivolgersi alla Corte Penale Internazionale per i crimini di Israele appoggiati dagli Stati Uniti, per i quali non è permesso un controllo giurisdizionale per ragioni che sono fin troppo ovvie.
Una seconda preoccupazione, ha riferito il New York Times, era che “i palestinesi potrebbero usare il voto per cercare di diventare membri di agenzie specializzate delle Nazioni Unite”, cosa che potrebbe portare Washington a privare dei finanziamenti queste organizzazioni internazionali, come ha già fatto con l’UNESCO nel 2011 quando ha osato ammettere la Palestina come membro. Il padrone non tollera la disobbedienza.
Israele ha avvertito che “sarebbe impazzito” (“yishtagea”) se fosse passata la risoluzione; ha fatto rivivere gli avvertimenti degli anni ’50 quando dichiarava che “sarebbe impazzito” se veniva sconfitto; non era molto significativo allora, molto di più adesso. E, in effetti, poche ore dopo il voto dell’ONU, Israele ha annunciato la sua decisione di portare avanti gli insediamenti nell’Area E1 che unisce la Grande Gerusalemme, estesa su una vasta area che aveva annesso illegalmente alla città di Ma’aleh Adumin, che si è molto estesa durante la presidenza di Clinton e dopo gli accordi di Oslo, annettendo le terre che si estendono praticamente fino a Gerico e che di fatto tagliano in due la Cisgiordania. Prima di Obama, i presidenti degli Stati Uniti avevano bloccato i tentativi di Israele di espandere i suoi insediamenti illegali nella regione E1. Obama ha appoggiato di più le azioni criminali di Israele rispetto ai suoi predecessori, e resta da vedere se si limiterà solo a questo
Israele e gli Stati Uniti insistono sui “negoziati diretti” come unica “strada verso la pace.” Insistono anche sulle pre-condizioni fondamentali. Primo, i negoziati devono avvenire sotto la guida degli Stati Uniti. Una seconda pre-condizione che rimarrà tacita, è che si deve permettere che l’espansione degli insediamenti di Israele continui sotto altra forma (come è successo, per esempio, durante la “sospensione” formale di 10 mesi, quando Washington segnalava la sua disapprovazione e allo stesso tempo continuava a fornire l’appoggio richiesto).
Un elemento della tortura ininterrotta della popolazione di Gaza, è la “zona di Israele all’interno della striscia, il cui ingresso è bloccato per gli abitanti di Gaza e che è quasi la metà della terra arabile. Dal settembre 2005, dopo che Israele ha trasferito i suoi coloni in altre parti dei territori occupati, e fino al settembre 2012, le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso 213 palestinesi nella zona, compresi 154 che non prendevano parte alle ostilità, 17 dei quali erano bambini. Dal gennaio 2012 fino all’avvio della più recente carneficina di Israele, del 14 novembre, cioè l’Operazione Pilastro della Difesa, si è affermato che un israeliano è stato ucciso dal fuoco di Gaza, mentre 70 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano.
La storia completa, naturalmente, è più complessa, e notevolmente più brutta.
In tutti questi anni, Gaza è stata tenuta a livello di pura sopravvivenza, imprigionata da terra, dal mare e dal cielo. Alla vigilia dell’ultimo attacco, Le percentuali di vittime dall’episodio di novembre: oltre 160 palestinesi morti, compresi molti bambini, e 6 israeliani. Tra i morti c’erano tre giornalisti. La giustificazione ufficiale di Israele era che “Gli obiettivi sono persone che hanno attinenza con l’ attività terroristica.” La distruzione massiccia è stata tutta a Gaza. Israele ha usato moderno equipaggiamento militare statunitense per il massacro e la distruzione e si è basato sull’appoggio diplomatico degli Stati Uniti, compreso il solito intervento statunitense per bloccare una richiesta del Consiglio di sicurezza per un cessate il fuoco.
Ad ogni exploit di questo genere l’immagine globale di Israele e dell’Occidente viene intaccata. Le immagini del terrore e della distruzione, e il carattere del conflitto, lasciano pochi residui brandelli di credibilità verso quello che si auto-dichiara “il mondo democratico”, almeno tra la gente che ha gli occhi aperti.